Desideriamo parlarvi di un tour guidato di una mostra temporanea a Venezia: La Pelle di Luc Tuymans a Palazzo Grassi.
Che cosa si cela dietro le stupende opere dipinte da Luc Tuymans? Quali storie ci vuole narrare, quanti strati dobbiamo grattare per arrivare, forse, a una verità, che non sarà quasi mai la verità?
In un periodo osceno dove le fake news sembrano pervadere tutta la nostra esistenza, avere a che fare con un pittore (sì, un pittore, quasi non si usa più nell’arte contemporanea produrre pittura, e già questo è nuovo) straordinario come l’artista belga è un’esperienza che tocca emotivamente diversi aspetti della percezione.
Palazzo Grassi ci offre questa opportunità in una mostra monografica curata da Caroline Bourgeois e intitolata “La Pelle”. Fino al prossimo 6 gennaio possiamo ammirare più di 80 opere dipinte dal 1986 a oggi, presentate non in ordine cronologico, forse per aumentare il senso di distopica visione di un mondo intimo, quasi surreale, apparentemente calmo e rilassante. Ecco, il gioco visivo è tutto in questo “apparente” modo di presentare la storia, attraverso la memoria, la realtà distorta dai ricordi, come se ci fossero sempre diversi filtri tra noi e i dipinti.
Tuymans ha un modo assodato di preparare le sue opere, partendo sempre da una foto fatta col cellulare, da un’immagine riflessa allo specchio, da una illustrazione che lo colpisce. Rielabora poi queste immagini e le trasforma molto spesso in sottili enigmi che spiazzano il visitatore. I titoli dati alle opere sono importantissimi, come anche le lunghe spiegazioni che l’artista ha voluto per la guidina a disposizione dei visitatori, dove si descrive dettagliatamente l’opera e la fonte scelta.
Entrando a Palazzo Grassi si viene accolti da un ricchissimo mosaico, costruito in atrio, maestoso, brillante, enorme, scultoreo ma anche in parte minimale. Le dimensioni pittorica e scultorea si mescolano e si compenetrano in questa opera, che riassume nei pochi tratti scuri degli alberi, quasi minacciosi, una rievocazione dell’orrore nazista e dei campi di concentramento.
La banalità del male pervade quasi tutte le stanze, a cominciare dal piccolo ritratto sullo scalone, quasi monocromo, di Albert Speer, architetto del Fürer, dal titolo Secrets, come tutti i segreti, anche i più indicibili, che si tiene dentro, dietro i suoi occhi chiusi.
Issei Sagawa, giovane giapponese che ha ucciso e mangiato la sua compagna di università, è qui sfocato, nascosto da una maschera, messo in ombra da un grande cappello. É dipinto quasi di fretta, quasi a voler cancellare il volto di questo assassino.
The Heritage VI mostra un uomo pacioso, sorridente, quasi gentile, poi scopri che rappresenta Joseph Milteer, il fondatore del Ku Klux Klan e tutto cambia. Tuymans mette in evidenza gli occhi dietro gli occhiali, l’unico tratto che si vede quando i membri del Klan indossano i cappucci.
Colpisce l’enorme Still Life eseguita per Documenta 11, un anno dopo l’11 settembre. Viene dipinta con colori annacquati, polverosi, in un trionfo di oggetti banali, fluttuanti nel nulla: Tuymans dice di esser stato nauseato dalle immagini scioccanti della tragedia americana e di aver così scelto un tema quasi idilliaco, ma esagerato e sconvolgente perché spiazza con la sua dimensione monumentale di piatti e bottiglie.
Questo è il modo di procedere di Tuymans: elaborare lungamente immagini, foto, frammenti di film, dipingere poi velocemente in un giorno, rendere magnifici e terribili i temi scelti, tenere solo quello che gli piace.
E allora si chiarisce il titolo della mostra: la pelle, ispirata al romanzo di Curzio Malaparte, ambiguo e terribile, che rimanda alla villa di Capri dove è stato girato Le Mépris tratto a sua volta da Moravia (film che Tuymans, che è stato per un breve periodo anche regista cinematografico, adora).
La pelle è anche l’epidermide che ricopre il corpo umano ed è solo un involucro, un filtro, ma bisogna andare sempre oltre, cercare “dentro”, scavare e trovare quello che la bellezza a volte nasconde, mettere in luce (e la luce è importantissima in questa mostra) il lato nascosto e spesso orribile da accettare o anche solo dire.
Le opere sono politiche, i riferimenti sono spesso il nazismo, il colonialismo belga, il male, banale e sempre presente.
L’interpretazione dei dipinti, allora, è anche lasciata all’osservatore, l’autore dà una chiave e ci lascia liberi di trovare la parte mancante, l’assenza, il difetto, il vuoto in cui perdersi o salvarsi. E c’è bisogno di riflessione, spazio e soprattutto di tempo.
Tuymans stesso ha detto: “Sarebbe divertente sentire i visitatori dire che la mostra è ‘bellissima”.
Bellissima e drammatica.
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