Questa biennale è costruita principalmente sulle
diversità e sugli artisti outsider e il curatore Adriano Pedrosa nel scegliere le opere ha avuto il grande intuito di mettere in relazione
due-tre artisti in ogni sala, così da creare un dialogo costruttivo e spesso intenso tra l’arte e la vita dei vari autori.
Una delle stanze più intense e meglio presentate è l’ultima del
Padiglione Centrale ai Giardini, in cui le stupende tele di
Giulia Andreani parlano con il maestoso lavoro
Crucifixion of the soul del 1936 di
Madge Gill,
dieci metri di disegno intensissimo, eseguito su una tela sottile in sequenze di
quattro colori a penna, rosso, blu, verde, nero, un intreccio quasi tessuto e ricamato su cui prevale il
disegno di faccine femminili bianche, affilate, evanescenti e fantasmiche, forse lo spirito guida dell’artista inglese da lei chiamata
Myrninerest.
Crucifixion of the soul
Crucifixion of the soul, dettaglio
Vita complicata e drammatica quella di Madge, una gotica sfilza di tragedie che han segnato la vita dell’artista. Figlia illegittima in epoca vittoriana, messa all’età di 9 anni in orfanotrofio dalla madre, spedita adolescente in Canada a lavorare come domestica, maltrattata al punto da voler tornare in Inghilterra, accolta dalla zia e obbligata a sposare il cugino, da cui ha tre figli, uno morto di Spagnola, una figlia nata morta dopo un parto terribile che l’ha quasi uccisa e resa cieca da un occhio.
La zia era medium, la iniziò allo
spiritismo e alle pratiche medianiche che le permisero di sostenersi economicamente, molto più della sua dote artistica, nonostante avesse esposto in importanti musei e gallerie.
Nel 1920 Madge inizia a dipingere senza sosta le sue celebri tele infinite, ispirata da
Myrninerest e dal dolore da lenire, riempiendo di tratti e pattern labirintici e intriganti ogni millimetro quadrato a disposizione.
Pittura allucinante, liberatoria, forse pazza, ma decisamente salvifica.Ed ecco
l’incontro tra questa
vita travagliata e questa arte aggrovigliata con la pittura raffinata e monocroma di Giulia Andreani, che tributa un omaggio meraviglioso a Madge Gill nel dipinto
Pour elles toutes, (Myrninerest) a lei dedicato, in cui la ritrae intenta a riempire di segni e colori un foglio arrotolato. L’immagine è presa, come Giulia Andreani fa di solito,
da una foto dell’artista inglese. Dietro di lei lavorano donne intente a cucire, a ricamare, a creare calzature.
Qui si vedono riuniti i temi del lavoro di Andreani, l’unica artista italiana vivente invitata alla Biennale di questo anno.
Pour elles toutes, (Myrninerest)
Andreani è affascinata dal lavoro di Gill, la vede come una grande rappresentante dell’
Art Brut che raccoglieva
artisti rifiutati, emarginati e incompresi (e non a caso esattamente dal lato opposto del padiglione sono esposte le opere di Aloïse, l’altra artista che ha passato gran parte della sua vita in manicomio ed era riconosciuta da Dubuffet come l’unica donna che potesse rappresentare l’Art Brut) e anche come un’antesignana del femminismo.
Giulia Andreani usa una pittura raffinatissima, raccontando la vita del
lavoro femminile del passato rapportandolo al presente, usa
uno stesso colore, il grigio azzurro Payne, gelido e freddo, che trasforma i dipinti in
foto d’epoca, proprio quelle che l’artista veneziana usa come ispirazione.
Ecco allora
Le fanciulle laboriose intente a cucire e ricamare, nata da
una foto di epoca fascista, o il grande
acquarello La scuola di taglio e cucito in cui
seduta in primo piano si vede Giulia Maramotti, la madre del fondatore di Max Mara, come in una foto di scuola che sbiadisce ai lati.
Le fanciulle laboriose
La scuola di taglio e cucito