Oro, memoria, spazio, luce, condizione umana e tanto altro...
La
Punta della Dogana riapre al pubblico con una mostra bellissima e intensa. Già il titolo evoca mondi lontani e straordinariamente vicini, mettendo in relazione l’idea mistica e contemplativa del
passato bizantino splendente, orientale e dorato e le immagini
glamour e fashion così di moda nel nostro tempo. Oggi siamo sopraffatti da immagini, video, suoni, frenesia, le nuove icone, spesso inconsistenti, sono velocemente dimenticate, rimpiazzate da altre, altro che i 5 minuti di celebrità decantati da Andy Warhol!
Qui a Punta della Dogana la musica è, per fortuna, totalmente diversa. Parliamo di
Icônes, dunque e che icone!
Venezia e Bisanzio
Sembra quasi scontato iniziare raccontando i millenari
rapporti tra Venezia e l’Oriente, tra Venezia e l’oro sfavillante dei
mosaici di San Marco di derivazione bizantina, di tutta la pittura e l’arte veneziana che raramente, anche nel contemporaneo, si stacca dall’
influenza “iconica” di luce, spazio e ieratica contemplazione del mondo umano e divino. Le icone bizantine non erano solo immagini sacre, ma astratte rappresentazioni del mondo dei santi e non potevano essere osservate se non si pregava dinanzi ad esse.
L’oro dematerializza lo spazio, illumina e fa vibrare i volti dei santi e della vergine, ieratici e lontani.
Preziosità, smaterializzazione, luce, divinità, ricchezza, meditazione, bianco e nero, luci e ombre, l’oriente e Venezia, si incontrano nella mostra e l’immaginazione dalle icone antiche trova spazio e si moltiplica nella contemporaneità, le
80 opere degli artisti scelti dialogano in modo impeccabile, emozionandoci e trasportandoci in una
dimensione “altra”, meditativa, onirica e ricca di riferimenti.
Dialogo tra luci e spazi
La penombra ci accoglie nella prima sala, inizia l’incanto del dialogo:
Ttéia 1 dell’artista brasiliana
Lygia Pape (già presente alla Biennale del 2009) sono
fili luminosi, dorati, che come una
ragnatela intersecano lo spazio e disegnano la luce, trascendente e perfetta; nel magnifico Concetto Spaziale di Lucio Fontana l’artista buca la tela e la luce traspare dal retro e apre uno spazio nuovo, infinito ed espanso oltre la superficie bidimensionale della tela; sullo sfondo della sala appare appena illuminata una rara opera di
Donald Judd:
quattro grandi scatole d’acciaio dipinte all’interno di
giallo vivo, così brillante da metter in ombra la lucentezza dell’acciaio.
Luce/giallo/oro sono i fili che legano queste opere di rara bellezza.
Théia 1 (Lygia Pape)

Untitled (Donald Judd)
Bianco, domande e risposte
Passiamo
dalla penombra al biancore meditativo di
Lee Ufan, artista poeta e filosofo coreano, che in
Tea in the Field ci porta silenziosamente in una precaria sala da tè, con i paraventi in fragile
carta di riso lacerata dall’acqua e il suolo coperto da ghiaia e sassi, sue icone che ci riportano alla durezza e al contrasto tra i vari elementi della natura.
Tutto intorno ai muri esterni del cubo in cemento di Tadao Ando corre l’opera
Un oggetto chiuso in sé stesso? Adieux, realizzata espressamente per la mostra da Joseph Kosuth: il testo realizzato a neon si ispira al dialogo tra
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, coppia iconica del secolo scorso, sul muro rilucono le domande e le risposte tra i due filosofi e concentricamente le frasi iniziano e finiscono e si inseguono, creando un legame tra le diverse opere che si intersecano con queste parole.
Tea in the Field (Lee Ufan)
Schiavitù e condizione umana
Un bellissimo video di Edith Dekyndt,
Ombre Indigène del 2014, ci mostra una bandiera distrutta,
fatta di lunghi capelli neri che ondeggiano al vento della Martinica, dove alla fine del 1800 una
nave carica di schiavi è naufragata. Non possiamo non ricordare i
recenti avvenimenti di naufragi drammatici nel Mediterraneo e i capelli lunghi neri che richiamano la lotta delle
giovani donne iraniane: bandiere strappate e capelli al vento, simboli di libertà negata.
In un’altra sala
David Hammons presenta un magnifico
specchio con la cornice dorata,
coperto da uno straccio rotto, sporco, che vela la superfice riflettente e ci fa pensare alla condizione umana con tutte
le ingiustizie, il razzismo, lo sconforto. Questa opera dialoga col perfetto minimalismo di Agnes Martin e la cappella dedicata a Robert Ryman in cui le tele senza cornice sono piccole diversificazioni di bianco che viene quasi assorbito dal fondo cupamente colorato.
Mirror (David Hammons)
Oro, memorie, colori, acqua
L’oro ancora trionfa nella colona di James Lee Byars che fa di questo materiale il tratto caratteristico della sua opera, nella pura accezione del sacro e del
legame cosmico terra, il cielo e la terra.Nel cubo si vola con l’installazione di
Danh Vo,
pezze di velluto dove restano marchiate le ombre degli oggetti religiosi che vi erano appoggiati. Qui è la memoria degli oggetti, la
memoria della storia e quella individuale che si intrecciano; anche alle pareti, i dipinti magnifici di
Rudolf Stingel fanno apparire immagini in trasparenza e restano tracce di scarpe, tazze, di
vita vissuta anche dentro le opere.
Chritmas (Dahn Vo)
Untitled (Rudolf Stingel)
La
sorpresa più bella, intensa e trascendente la si trova nel torrino. Con
To Breathe-Venice Kimsooja crea uno
spazio surreale e onirico, gli specchi e la rifrazione della luce fanno perdere qualsiasi dimensione dando l’
impressione di camminare sull’acqua della laguna colorata dall’arcobaleno.
To Breathe-Venice (Kimsooja)
Questi pochi scritti non rendono la bellezza, i significati profondi di questa esposizione che terminerà il
26 novembre, 2023 e per questo vi aspettiamo a Venezia per una visita privata a Punta della Dogana.
Contatti:
info@guidedtoursinvenice.com
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