Gabrielle Goliath è una giovane
artista sudafricana, vive a Johannesburg ed è una delle rare artiste ad avere alla Biennale di quest’anno una stanza tutta per sé al
Padiglione Centrale dei Giardini all’interno della mostra curata da Adriano Pedrosa.
Nella stanza
tutto è blu, i video a sfondo blu sono appoggiati a terra, il
visitatore è direttamente a contatto con i volti delle persone che mormorano, balbettano, si torcono le mani, tentano di leggere, ma la voce non esce, è solo un balbettio che fatica a prendere corpo e resta così, sospeso.
Il progetto si intitola
Personal Accounts ed è nato nel 2014 per parlare di
diseguaglianze, violenza e oppressione.
Sono testimonianze di persone di colore, trans, queer, non binarie, che nel drammatico mormorio non trovano nemmeno le parole per raccontare
l’orrore delle violenze e dei traumi subiti.
Viene sottolineata la
politica della violenza di genere, sessuale e domestica, come un atto di censura le parole sono cancellate, resta un infinito vuoto, un dialogo di assenze e cesure, dove praticamente si evidenzia chi può parlare e chi deve essere silenziato. Si può deglutire, schiarirsi la voce, sospirare, abbassare gli occhi. Resta, presente e possente, il corpo di queste persone a riempire il video, in questo sfondo blu che enfatizza
la bellezza delle immagini nella tragicità delle storie, che possiamo solo immaginare, poiché la cancellazione delle parole impedisce un vero racconto “vocale”.
Una delle opere in mostra è un
video del 2024 a 4 canali, "
There’s a river of birds in migration", è tratto da una poesia scritta, composta ed eseguita per l'occasione dall'artista, attivista e madre della Casa dei Diamanti, Treyvone Moo. Ci sono:
Un fiume di uccelli in migrazione / Una nazione di donne con le ali / Un fiume di uccelli in migrazione / A una nazione di madri che cantano.
Assieme a Treyvone vediamo Maneo, Sapphire e Hopewell, tutti condividono racconti personali sulla
precarietà e la sopravvivenza dei trans a Johannesburg e in Sudafrica, dove la violenza anti-nera, anti-femmina, omofobica e transfobica e il trauma sono quotidiani e ovunque. Tuttavia, questi racconti personali superano le condizioni di negazione da cui vengono pronunciati, letti e cantati. Accanto al dolore, alla delusione, alle paure e alle perdite si affermano
speranza, creatività, bellezza, comunità, poesia, desiderio, generosità, fede, transizione, amore e, forse in modo più enfatico, presenza.
In "
Deinde Falase" il giornalista televisivo nigeriano racconta la
sua fuga in Sudafrica dal paese natale a seguito della legge del 2014 che proibiva i matrimoni e le relazioni a persone dello stesso sesso, trovandosi poi nella stessa situazione dopo 10 anni come rifugiato senza alcun diritto.
"Lago di Como" è stato girato nella ricca e bella città italiana, un idillio di ricchezza, ville e bella vita, ma al contempo
luogo di arrivo e partenza di migranti dal lavoro precario e dall’assenza di diritti a cui soprattutto le donne sono esposte, soprattutto violenze famigliari. Ogni anno il Telefono Donna di Como registra più di
250 casi di violenza di genere e sessuale tra immigrate dall’Africa, Ucraina, Bangladesh, Albania.
La violenza contrasta fortemente con la bellezza del luogo, il volto di Zohra e i libri di foto parlano con gli occhi della disperazione di queste donne.